Prima fugge dal carcere in Tunisia per sbarcare come innocuo migrante con il barcone in Italia. Poi viene aperto un procedimento a Bologna per radicalismo islamico, che finisce in nulla. Alla fine doveva essere espulso, ma un magistrato di Bologna annulla il provvedimento di rigetto della richiesta d’asilo. La polizia italiana, però, segnala a tutta Europa che è un sospetto jihadista pronto a partire per i campi dei battaglia dell’Isis in Medio Oriente. Si sposta fra Svezia e Belgio fino a quando non decide di uccidere due svedesi a colpi di kalashnikov nel centro di Bruxelles. Il Giornale ha ricostruito il percorso, attraverso l’Italia, di Abdesalem Lassoued, il terrorista dell’Isis neutralizzato ieri in uno scontro a fuoco a Schaerbeek, distretto della capitale belga fucina di jihadisti fin dagli attentati del 2016.
Lassoued era un tunisino nato a Sfax nel 1978. A casa sua finisce dietro le sbarre «per reati comuni e di natura politico-religiosa», ma riesce a evadere. Subito dopo si mescola ai migranti imbarcandosi verso Lampedusa. Nel gennaio 2011 viene fotosegnalato a Porto Empedocle per ingresso illegale. A Torino, dove lo trasferiscono, gli rilasciano un permesso di soggiorno per «motivi umanitari». Abbandona l’Italia per andare prima in Norvegia e venire rimandato indietro e poi in Svezia. Nel Paese scandinavo rimane dal 2012 al 2014 finendo in carcere. Forse non è un caso che a Bruxelles abbia dato la caccia ai tifosi della nazionale svedese, impegnata in una partita, uccidendone due. Dopo avere scontato la pena in Svezia viene espulso verso l’Italia come prevede il regolamento di Dublino.
Il futuro terrorista si sistema a Bologna, con una compagna pure lei tunisina, in un alloggio centrale vicino all’Università. E presenta domanda di protezione internazionale il 26 maggio 2016. Fra le sue otto pagine Facebook preferite, prima che l’antiterrorismo bloccasse il profilo, spiccava quella dell’Associazione Inquilini e Abitanti di Bologna, un’unione sindacale di base pro migranti legata alla sinistra. Nel 2016, in piena emergenza terrorismo, i servizi di sicurezza tunisini segnalano Lassoued come «elemento pericoloso e radicalizzato». La procura di Bologna apre un procedimento penale «modello 45» ovvero per «fatti che possono richiedere approfondimenti», ma non costituiscono ancora una notizia di reato. Il tunisino e la compagna vengono attenzionati e dai tabulati telefonici saltano fuori diverse utenze estere. Il procedimento finisce in nulla.
In giugno la Commissione territoriale di Bologna rigetta la domanda di protezione internazionale e Lassoued viene mandato al Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Caltanissetta per il rimpatrio. Ovviamente presenta ricorso e il Tribunale di Bologna sospende il no alla protezione internazionale fissando nel 2017 l’udienza per discutere nel merito. Così esce dal Cie, con tanto di permesso di soggiorno, e va in Belgio.
La polizia italiana, però, traccia già nel 2016 un allarmante profilo di rischio del sospetto jihadista informando tutta Europa. Il tunisino «avrebbe intrapreso un processo di radicalizzazione con la volontà di raggiungere il Daesh per proseguire la jihad». Non solo: «Avrebbe l’intenzione di acquisire un’arma da fuoco per compiere atti inconsulti ai danni di cristiani ed ebrei». Una delle informazioni più gravi è che sosteneva di essere stato in contatto con «Abdeslam Saleh coinvolto nei recenti attentati terroristici in Francia». L’unico terrorista sopravvissuto del Bataclan arrivato, guarda caso, da Bruxelles. E proprio in Belgio il tunisino avrebbe «allacciato contatti con elementi dell’ambiente integralista» prima ancora di arrivare a Bologna.
Lassoued presenta domanda di asilo a Bruxelles nel 2019, respinta l’anno dopo. L’adepto dell’Isis ha sicuramente trovato rifugio nel distretto di Schaerbeek, a ridosso della capitale, dove è stato intercettato e ucciso in uno sconto a fuoco. Lì era cresciuto anche uno degli attentatori suicidi che la mattina del 22 marzo 2016 si sono fatti esplodere all’aereoporto di Bruxelles, Najim Laachraoui. Una fucina jihadista con tanto di piazzette dimenticate come «la gabbia dell’orso», dove nel 2016 comandavano gruppi di giovani magrebini. Non nascondevano le simpatie per lo Stato islamico e ammettevano che diversi coetanei erano partiti per la Siria a combattere in nome del Califfato. «Se gli ebrei lanciano un missile a ammazzano degli innocenti musulmani nessuno ne parla – sottolineava un capoccia degli adolescenti della Jihad, nome di battaglia Adolf – Quando i mujaheddin combattono sono terroristi». Qualche centinaio di metri più in là, da una palazzina di Rue Max Roos, erano partiti i terroristi suicidi che avevano colpito l’aeroporto e la stazione metropolitana di Bruxelles provocando 32 vittime. Dal 2021, dopo un possibile passaggio a Genova, diventa un «fantasma» dopo essere stato espulso da una moschea per le sue posizioni radicali. In teoria avrebbe dovuto lasciare il paese da tempo. L’anno dopo un ospite di un centro per richiedenti asilo nei pressi di Anversa lo denuncia per minacce e informa la polizia che era stato condannato per terrorismo in Tunisia. Sembra che l’antiterrorismo lo avesse convocato proprio oggi per un colloquio. Il giorno prima imbraccia il kalashnikov seminando morte e terrore nel cuore di Bruxelles.
Fonte : Il Giornale