Davanti ai resti accartocciati della Quarto Savona 15, nome in codice dell’auto sulla quale viaggiavano i tre agenti di polizia morti nella strage di Capaci, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si ferma in raccoglimento, nel cortile della caserma Lungaro dove ha sede il Reparto scorte della questura di Palermo.
Accanto a lui Tina Montinaro, moglie di Antonio Montinaro che perse la vita insieme ai colleghi Vito Schifani e Rocco Dicillo. Erano tutti a bordo di quella Lancia Thema che ora, ridotta a un groviglio di lamiere chiusa dentro una teca, ricorda agli occhi di chi c’era e soprattutto di chi non c’era – trentuno anni fa – che cosa fu la strage di Capaci.
In termini di vite umane sacrificate insieme a quelle di Giovanni Falcone e di sua moglie Francesca Morvillo, e nei termini di un’offensiva mafiosa che in quello stesso anno, 57 giorni dopo, uccise anche Paolo Borsellino e altri cinque poliziotti della scorta; e l’anno successivo, tra maggio e luglio 1993, altre dieci persone tra Firenze e Milano.
L’anniversario delle stragi del ‘92 e ‘93 è, ogni anno, occasione per riaccendere la memoria e rinnovare la sfida alla mafia che non è stata sconfitta ma certamente non è più quella stragista e terroristica di inizio anni Novanta.
Sul palco della commemorazione organizzata dalla Fondazione Falcone vengono lette le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella (fratello del presidente della Regione Sicilia Piersanti, assassinato dalla mafia nel 1980) che ricorda le vittime di Capaci e degli altri attentati: «La mafia li ha uccisi, ma è sorta una mobilitazione delle coscienze che ha attivato un forte senso di cittadinanza. I criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni, di rendere il popolo suddito di un infame potere, ma la Repubblica seppe reagire con rigore e giustizia».
L’ultima risposta è stata data con l’arresto di Matteo Messina Denaro, lo stragista rimasto latitante per trent’anni fino al gennaio scorso, ricostruito sullo stesso palco dal vicecomandante del Ros dei carabinieri Gianluca Valerio e dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. Il quale ha voluto ricordare anche le altre catture di tutti gli altri capi mafia degli anni scorsi, molte ad opera della polizia, davanti al nuovo capo Vittorio Pisani, insediatosi ieri e anche lui al fianco del ministro davanti alla teca con i resti della Quarto Savona.
«Quegli eventi sono iscritti per sempre nella storia della Repubblica» è il seguito del messaggio di Mattarella, che sottolinea «il senso di vicinanza e riconoscenza verso quanti hanno combattuto la mafia infliggendole sconfitte irrevocabili, dimostrando che liberarsi dal ricatto è possibile».
Uomini «che non si sono tirati indietro», aggiunge Tina Montinaro. Nel nome dei quali – come conclude Maria Falcone, sorella di Giovanni e presidente della Fondazione, parlando alle autorità ma soprattutto ai ragazzi delle scuole radunati ogni anno per questo anniversario davanti all’aula bunker dell’Ucciardone, dove si celebrò il maxi-processo alle cosche istruito dal pool antimafia di Falcone e Borsellino – prosegue il percorso del ricordo e della memoria.
Che in un momento come questo sembra più forte delle polemiche che hanno diviso l’antimafia, per via della partecipazione alla cerimonia del sindaco di Palermo Lagalla e del presidente della Regione Schifani, eletti nell’ultimo anno anche grazie all’appoggio di politici o ex politici pregiudicati per fatti di mafia, come Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri. Polemiche che lo scorso anno consigliarono Lagalla (in quel momento ancora candidato) a disertare la cerimonia, mentre quest’anno, da primo cittadino, viene accolto sul palco con la fascia tricolore.
L’ex magistrato Alfredo Morvillo, fratello di Francesca e cognato di Falcone, ha preferito non esserci, partecipando a una sorta di commemorazione alternativa in un liceo di Palermo, mentre Maria Falcone non fa cenno alle dispute che hanno animato la vigilia. Preferisce ricordare la disperazione di trentuno anni fa, quando sembrava che «tutto fosse finito», alla quale seguì invece una reazione (anche popolare) arrivata fino a oggi, quando i bambini cantano una canzone intitolata Supereroi mentre sul maxi-schermo scorrono le immagini di Falcone e Borsellino.
«Due magistrati – conclude Maria – divenuti ciò che per noi da ragazzi erano gli eroi del Risorgimento. Hanno fatto l’Italia».
Fonte : ROMA