Home » Quattro Sorelle, Una Storia Di Famiglia, E Il Caciocavallo Più Buono D’italia
Economia Italia Nord America Notizia Notizie globali

Quattro Sorelle, Una Storia Di Famiglia, E Il Caciocavallo Più Buono D’italia


“La fortuna di avere una storia alle spalle significa anche avere tanto da raccontare”. E a Debora Di Pasquo, terza generazione dell’omonimo caseificio di Agnone, in Molise, celebre per la produzione di struggenti caciocavalli, la parlantina di certo non manca. Basta darle il la con una domanda (forse tre su quarantacinque minuti di chiacchierata), una curiosità, una richiesta di precisazioni, che ti inonda di riflessioni simili a torrenti di latte fresco, intrecciati in un freestyle di pensieri eternamente collegati. Un caseificio di famiglia in primis e al femminile subito dopo, specialmente oggi che la modernizzazione degli impianti ha portato innovazioni tecnologiche non indifferenti che hanno alzato ulteriormente il livello della bontà dei prodotti.

“La nostra realtà inizia nel 1956 con i miei nonni, che nascevano lattai: mio nonno con un Apecar raccoglieva il latte appena munto dalle stalle nel paese di Agnone, in provincia di Isernia, e lo portava in alcuni bidoncini (che ancora conserviamo) in una cantina dove stagionava i primi formaggi. Andava proprio casa per casa, “signora Maria, sono Ciccillo, quanto latte mi lascia stamattina?” Non c’era packaging e niente, ma di latte ce n’era veramente tanto, con la rimanenza del latte freschissimo mia nonna iniziava a produrre qualche caciocavallo: questo caciocavallo è ancora il prodotto di punta, ci siamo nati ed è quello con cui siamo riconosciuti sul mercato, il nostro riporta un marchio a fuoco con scritto Di Pasquo – Agnone” parte a razzo Debora. “Poi mio padre, nato in mezzo a tutto questo latte, a 16 anni decide di andare a imparare l’arte casearia a Castelfranco Emilia, dove c’era un istituto specializzato lattiero-caseario, e riceve un’offerta di lavoro da un’importante azienda che però rifiuta, rientrando a casa per applicare l’arte che aveva imparato. Ha iniziato a trasformare questo latte realizzando caciocavalli fatti meglio, scamorze, mozzarelle, e oggi produciamo circa 30 prodotti tra freschi e stagionati. Facciamo ancora metodo tradizionale raccogliendo il latte locale, con un camion che gira ad Agnone e tra Molise e Abruzzo, e con alcune cooperative che hanno magari 30-40 stalle abbiamo stretto contratti per soddisfare la nostra richiesta” spiega accorata. Impossibile non chiederle come riconoscere un caciocavallo di ottima qualità, una domanda in punta di lingua per la quale Debora Di Pasquo veste immediatamente i panni della cheese expert. “Da una materia prima di qualità, il latte. E poi dal colore: più è giallo, meno è bianco, significa che la selezione sulla materia prima è di altissima qualità. Quando lo tagliamo, se è compatto e liscio non va bene; se invece presenta una sfogliatura, inizia ad avere degli occhietti, è indice di qualità. Il caciocavallo va degustato a 60-70 giorni di stagionatura, così è ancora morbido ma saporito al punto giusto”.

La struttura famigliare aiuta a coprire le diverse branche del caseificio. “Io sono la seconda di quattro sorelle e tutte lavoriamo in azienda. Nello specifico io curo la parte commerciale e marketing, oltre che le risorse umane: siamo molto attente alle persone che lavorano con noi, il fattore umano è importantissimo, cerchiamo di avvicinare le persone e farle innamorare di quello che facciamo. Poi non è vero che è un lavoro che possono fare solo gli uomini, con i bidoni da 50 litri: li facciamo da 30 e vanno bene per tutti. Al 2023 siamo molte più donne che uomini” ci tiene a specificare Debora Di Pasquo, prima di rituffarsi nei fili di seta della terza generazione. “Donatella, che è la prima sorella, gestisce il punto vendita storico di famiglia dove prima stavano mia nonna e mia mamma (che oggi è responsabile di produzione), aperto da più di 50 anni. La terza, Fabiola, è in amministrazione e contabilità, l’ultima è Martina ed è il nostro vulcano, o come dicono qui i venditori, un trattore: ha 10 anni meno di me, e non ci sono aggettivi diversi per descriverla. Quando arriva il camionista si mette lì e dice “io il camion lo caricherei così”” ride, divertita dalle dinamiche famigliari, non immuni dai piccoli movimenti tellurici che smottano la naturale crescita dei più giovani.

“Noi stiamo vivendo il famoso passaggio generazionale. I nostri genitori sono ancora attivi, questo caseificio è il loro quinto figlio, il fratello che non è arrivato. Noi siamo tutte e quattro dinamiche, respiriamo quest’aria dal primo giorno di nascita perché mia madre non ha abbandonato un solo giorno, con le carrozzine parcheggiate nel punto vendita. Qualche giorno fa è nata la figlia di mia sorella Fabiola e dopo una settimana la bimba già respirava la nostra aria” specifica Debora, illustrando la giornata-tipo del caseificio: “Noi cominciamo alle 4 del mattino con una materia prima vivissima, alle 13 il latte è già confezionato e pronto a raggiungere i nostri clienti. È un processo così veloce che lo portiamo anche nella nostra vita di tuti i giorni, abbiamo questa visione rapida e facciamo difficoltà con tempi più lenti: andiamo alla “velocità del latte”, come diciamo noi, non stiamo mai ferme, siamo follemente innamorate della nostra attività e di quello che facciamo. Nelle nostre case il divano c’è, ma forse a prendere la polvere! Mio marito dice che entro nelle boutique come Prada non perché voglio una borsa, ma perché devo capire come la espongono: “per te il tuo caciocavallo è più di una Chanel”, mi dice sempre” e scoppia a ridere.

Se le chiedi come sta vivendo lo scontro/incrocio generazionale di un caseificio al femminile che proietta i formaggi di famiglia verso il futuro, Debora Di Pasquo si regala un momento di pausa, come a stagionare la risposta. “Bisogna almeno bere un litro di caffè tutte le mattine!” ride divertita, prima di tornare a raccogliere i pensieri. “Non è per niente facile, in alcuni momenti molleresti tutto, in altri torni a casa la sera ringraziando le generazioni passate. Loro comunque lo fanno per protezione, per insegnamento, a volte è un po’ come il genitore che vede il figlio di 60 anni ancora bambino. Ma a me la cosa che dispiace di più è perché deve arrivare il consulente X da 50mila euro per spiegare una cosa a mio padre, quando magari come figlia ho individuato una strada? Perché non ascoltare? Capisco il timore, i nostri genitori hanno creato qualcosa in un paese minuscolo, in una regione come il Molise dove i trasportatori non vengono tutti per caricare la merce perché le strade non sono comode (e noi ci facciamo carico di questo costo con i nostri mezzi). Mi sento molto fortunata, le mie coetanee vivono fuori dal paese ma pagherebbero per tornare qui, avrei potuto anche io chiedere un appartamento a Milano, ma io mi chiedo: è giusto che la tua famiglia ha un’attività storica e tu, dopo aver studiato, vai a fare il numero in un azienda? Certo, magari per bere la sera mi devo accontentare dell’unico locale che c’è, o fare 50 chilometri per trovarne altri, o per il cinema. Le mie amiche che vivono le città, di contro, possono avere queste comodità, ma sono certa rimpiangano la modalità da famiglia allargata che solo un paese sa dare: io se esco dall’azienda alle otto meno dieci dopo cinque minuti sono dal macellaio, che non chiude se non arriva Debora. È un po’ un aiutarsi tra di noi. Viviamo sereni e la nostra azienda comunque ti collega col mondo, ho la possibilità di confrontarmi con tante persone se voglio, anche se è molto impegnativo. Mio marito dice sempre che io ho sposato il caseificio in prime nozze e in seconde lui (ride), è il nostro pane&formaggio quotidiano”. Debora Di Pasquo si scioglie in un’altra risata, morbida come la polpa di una scamorza in fusione, e riparte di slancio. “Molti ancora raccontano il “come si faceva una volta”, le piccole aziende, i mini caseifici… Secondo me una realtà storica, come la nostra, ha un futuro davanti e il cliente si sente sicuro perché ci conosce da tempo, chi si avvicina a noi vede lo ieri e l’oggi. Mi viene male quando vedo questi servizi che fanno vedere ancora la gente che si china e si spezza la schiena a girare la pasta filata, anche perché le normative non lo consentono più”. Il lungo processo di innovazione tecnologica ha portato il caseificio Di Pasquo a ingrandirsi (“visto che la produzione è abbastanza costante durante l’anno ma il periodo più intenso è il secondo semestre, con i freschissimi d’estate e il caciocavallo d’inverno, qui c’è la tradizione di regalare il caciocavallo a Natale” precisa Debora) e a lavorare anche su immagine, packaging, loghi e comunicazione, in prospettiva. “Oggi secondo me siamo diventati una Ferrari, ed è il momento di correre: avendo fatto tanti investimenti e raggiunto una capacità produttiva da quintuplicare la nostra produzione, dobbiamo anche tenere presente cose che prima non facevamo perché pensavamo puramente al formaggio, senza dare attenzione a tutto quello che c’è intorno a un’azienda” riconosce Debora. “Sono molto positiva perché negli ultimi anni, nonostante le difficoltà, siamo in un buon momento ed è giusto che ce la mettiamo tutta. Abbiamo scelto di realizzare un museo per far vedere come si lavorava, ma le aziende sono moderne, innovative, attente al benessere delle persone che ci lavorano. La comunicazione è un mezzo fondamentale, ma quando si entra qui dentro si tocca con mano chi realmente siamo: io invito tutti a venire perché parlare con me, con noi, vedendo la cella di stagionatura, è un’altra cosa. È un’emozione che si prova”. Una lezione veloce come il latte: prendersi il tempo di parlare, di confrontarsi con le persone. E di assaggiare un pezzettino di caciocavallo stagionato al punto giusto.

Fonte : Maire Claire

Translate