I 2,3 milioni di lavoratori migranti in Italia creano il 9% del Pil, e pagano più tasse di quanto costano allo Stato – nonostante abbiano spesso lavori pagati pochissimo, anche quando sono laureati. Il nuovo rapporto della fondazione Moressa mette in evidenza che all’Italia, anche dal punto di vista economico, l’immigrazione serve.
In Italia le persone immigrate contribuiscono per il 9% al Pil, cioè alla ricchezza del Paese. Non solo, ma in media gli immigrati sono lavoratori e contribuenti attivi, e hanno un impatto molto basso sulla spesa pubblica, nonostante lavorino spesso in posizioni troppo basse per il loro livello di studio e siano a rischio di povertà tre volte più degli italiani. Sono i dati messi in evidenza dal nuovo Rapporto sull’economia dell’immigrazione, presentato oggi dalla Fondazione Leone Moressa
Un po’ di numeri: la popolazione straniera in Italia è circa l’8% del totale. Gli occupati sono 2,3 milioni, oltre il 10% del totale della forza lavoro italiana. E, come detto, creano il 9% del Pil in media: in alcuni settori il contributo è anche maggiore, ad esempio supera il 14% nell’agricoltura e nell’edilizia
Sono dati che dimostrano quanto sia importante l’immigrazione per l’Italia, sia dal punto di vista economico che demografico. Gli abitanti sono sempre di meno e sempre più vecchi, una tendenza che nei prossimi decenni difficilmente cambierà, anzi. E anche se l’andamento delle popolazioni “non è l’unico (e probabilmente nemmeno il principale) fattore che determina le migrazioni”, resta un dato in particolare: nel Sud Europa, da oggi al 2050 si prevede che i giovani adulti (tra 20 e 40 anni) diminuiranno di un quarto, mentre nei Paesi del Nord Africa aumenteranno del 46%.
Come è andato il Consiglio Ue sui migranti e perché non è stato raggiunto un accordo
Con le difficoltà economiche e di popolazione, quindi, è inevitabile che i Paesi come l’Italia debbano “promuovere una migrazione sicura, ordinata e regolare”, che favorisca l’integrazione sociale a partire dalla scuola e poi nel mondo del lavoro. Se n’è accorto anche il governo Meloni, nonostante l’ostilità dichiarata verso le persone migranti: con il suo ultimo decreto Flussi, ha previsto 452mila ingressi dal 2024 al 2026. Che sono comunque meno della metà di quelli che le aziende italiane richiederebbero.
Anche perché, guardandola da un punto di vista solamente fiscale, l’immigrazione è un dato più che positivo. I contribuenti stranieri in Italia sono 4,3 milioni, versano 9,6 miliardi di Irpef, e nel complesso la popolazione straniera ‘costa’ allo Stato (in termini di welfare) 1,8 miliardi di euro in meno delle tasse che paga.
Questo nonostante spesso i lavori svolti dalle persone immigrate non siano quelli con una retribuzione molto alta. “L’Italia attrae soprattutto manodopera non qualificata, inserita nei lavori stagionali e manuali”, riporta la Fondazione, ma anche quando i lavoratori sono qualificati “in molti casi essi vengono inseriti in mansioni di basso livello”, cosa che crea un vero e proprio “spreco di competenze”. Certo, è un fenomeno che colpisce anche gli italiani, ma in modo diverso: ad esempio i laureati con un’occupazione a qualifica medio-bassa sono il 19% tra gli italiani, ma ben il 67% (due su tre) tra gli stranieri che provengono da Paesi esterni all’Unione europea.
Lo stesso vale per la paga. Basta vedere i numeri sul rischio di povertà: questo colpisce il 9,7% dei lavoratori italiani, ma il 20% degli stranieri che vengono da Paesi dell’Ue e il 31% tra chi viene da Paesi extra-Ue.
Negli ultimi anni comunque si sta allargando la “imprenditoria immigrata”, come la definisce la fondazione Moressa. Gli imprenditori nati all’estero, in Italia, sono circa 760mila, ovvero il 10% del totale. La tendenza è visibile negli ultimi anni: dal 2010 al 2022, il numero di imprenditori nati in Italia è calato del 10%, mentre il numero di imprenditori nati all’estero è salito del 39,7%
Fonte : Fanpage