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Land Grabbing, Occupato Un Territorio Grande Quattro Volte L’italia



C’è un Paese virtuale, grande quattro volte l’Italia, affittato o comprato dai cacciatori di terra. Nel mondo 114,8 milioni di ettari sono stati concessi a Stati o aziende non nazionali per lo sfruttamento delle risorse agricole, minerarie, idriche. Il dato è contenuto nel rapporto di Focsiv (la Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana) appena uscito, “I padroni della terra”.

L’analisi mostra un trend in rapida crescita. I fattori che hanno portato a questa accelerazione sono vari. Alla base c’è la crisi climatica che, destabilizzando gli ecosistemi e il ciclo idrico, in molte aree del mondo sta minando l’equilibrio alimentare e dunque sociale. Poi c’è la crescita dei conflitti, a cominciare da quelli in Ucraina e Medio Oriente. Infine la necessità della transizione ecologica, in assenza di un sufficiente sviluppo della ricerca e dell’economia circolare, fa crescere le tensioni attorno ai luoghi in cui c’è maggiore disponibilità delle materie prime necessarie a questo passaggio: tensioni che si aggiungono a quelle, non certo in declino, legate alla corsa all’accaparramento dei combustibili fossili.

Il risultato è che il land grabbing e il water grabbing si espandono. “Crisi climatica, dipendenza dei Paesi impoveriti da quelli occidentali e da quelli emergenti nel nuovo multipolarismo, speculazioni dei mercati, sono fenomeni che da tempo peggiorano la sicurezza alimentare e la vita di oltre 800 milioni di persone, delle comunità contadine ed indigene sempre più oggetto di land grabbing”, si legge nel report. “La risposta non consiste in un anacronistico sovranismo alimentare ma nella sovranità alimentare delle comunità e quindi nel loro diritto alla terra e a decidere autonomamente i propri modelli di produzione e consumo”.

La pressione del land grabbing è concentrata soprattutto in alcune macro aree: Africa (37,4 milioni di ettari concessi a questo tipo di accordi commerciali), America Latina (31,8 milioni di ettari), Europa orientale (30,7). I motivi: 40% per sfruttamento di foreste; 33% per altre ragioni tra cui in particolare l’estrazione mineraria; 26% per l’agricoltura.

C’è anche l’elenco dei Paesi oggetto di questi accordi. Il primo è la Russia (26.9 milioni di ettari), il secondo il Perù (16,2 milioni di ettari), il terzo la Repubblica democratica del Congo (11,3 milioni). Seguono Indonesia (8,7), Brasile (8,2), Gabon (6.8), Camerun (6), Mozambico (4,2), Argentina e Liberia (4,1 entrambe). Tra i primi 10 Paesi investitori troviamo invece la Svizzera con 13,3 milioni di ettari, il Canada con 11,1 milioni, gli Stati Uniti con 9,8. Seguono Cina (8,9 milioni di ettari), Giappone (8,4), Gran Bretagna (6,6), Singapore (6,1), l’Olanda (5,5), Brasile (5,4), Belgio (4,7).

Se guardiamo però non alla quantità delle terre ma alla distribuzione degli accordi la classifica cambia. “La Cina è attualmente il Paese con più interessi distribuiti nel mondo, avendo accordi con ben 53 Paesi per la concessione di terre, seguita dagli Stati Uniti con investimenti in 47 Paesi”, scrivono gli autori del rapporto. “Poi la Gran Bretagna, un paese ex coloniale e imperiale, che mantiene accordi con 42 Paesi, e il Canada che grazie ad alcune grandi imprese multinazionali del settore estrattivo opera in 41 Paesi. A distanza vi sono altri Paesi occidentali sede di multinazionali come l’Olanda che investe in 33 Paesi e la Svizzera in 29 Paesi”.

Il problema centrale comunque non è la quantità degli accordi ma la loro qualità, cioè le conseguenze. Secondo Focsiv la violazione dei diritti e soprattutto il water grabbing con il relativo degrado ambientale rappresentano il problema numero uno in molti Paesi. Ad esempio in Cile dove l’80% dell’acqua potabile viene utilizzato per l’agroindustria, in particolare per l’esportazione di frutta: con quasi 40.000 ettari, l’avocado è il maggiore responsabile del problema.
“La diffusione di questa monocoltura”, scrive Focsiv, “ha portato a un sovrasfruttamento dell’acqua da parte di poche grandi aziende, a cui corrisponde un minore accesso per le popolazioni locali, causando un progressivo degrado ambientale. Il movimento per l’acqua e i territori, che raggruppa 100 organizzazioni sociali locali, si sta opponendo a questi processi, chiedendo una gestione comunitaria dell’acqua. L’intera provincia di Petorca è stata gravemente danneggiata ecologicamente dalla monocoltura di avocado che ha causato gravi problemi sul territorio, quali l’inquinamento delle acque sotterranee dovuto all’uso di pesticidi e l’avvelenamento dell’ambiente. Gli abitanti fanno affidamento sui camion cisterna che trasportano l’acqua e che circolano sette giorni alla settimana, quasi a qualsiasi ora”.

In molti Paesi i tentativi di arginare le appropriazioni di terra costano cari. Nel 2017, per la prima volta in Cile, Amnesty International ha avviato un’azione urgente per proteggere la vita di Rodrigo Mundaca, Veronica Vilches e altri membri dell’organizzazione Modatima che avevano ricevuto minacce di morte per aver denunciato sui media internazionali estrazioni illegali di acqua nella provincia di Petorca. Nell’aprile 2017 anche l’Istituto nazionale per i diritti umani ha deciso misure di protezione nei confronti degli attivisti.

Ma non mancano le reazioni. In Colombia è arrivato in tribunale il reato per appropriazione illecita di terreni incolti. Il reato prevede da 5 a 12 anni di reclusione per chi usurpa, occupa, utilizza, accumula, tollera l’appropriazione di terre senza i pieni requisiti di legge. 

Fonte : Huff Post

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