L’8 luglio 2013, all’inizio del suo pontificato, la prima visita di Francesco fuori dall’Italia è stata in un’isola del Mediterraneo, dove ha denunciato la condizione dei migranti.
“Dov’è il sangue di tuo fratello?”
Dieci anni fa, l’ 8 luglio 2013 , Papa Francesco ha alzato la voce dall’isola italiana di Lampedusa per denunciare la difficile situazione dei migranti sulla costa mediterranea . Il neoeletto Pontefice, che aveva scelto questa meta per il suo primo viaggio fuori Roma, denunciò «la globalizzazione dell’indifferenza» in un’omelia che rimarrà emblematica del suo pontificato. Ripercorriamo questo viaggio, precursore di tante altre iniziative a favore dei migranti.
[Articolo aggiornato per includere la lettera di Papa Francesco al vescovo in occasione dell’anniversario, sotto.]
La morte di innocenti, soprattutto bambini, alla ricerca di un’esistenza più serena, lontana da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciare indifferenti.
Quel lunedì mattina d’estate, le telecamere dei media di tutto il mondo erano puntate su un mare blu scintillante. Una nave della guardia costiera, scortata da una flotta di pescherecci, stava entrando nel porto di Punta Favarolo. A bordo c’era il Capo della Chiesa Cattolica, che ha gettato in mare una corona di fiori gialli e bianchi. Con le mani giunte in preghiera, ha ricordato tutte le vite che sono state inghiottite dalle onde mentre cercavano di raggiungere il continente europeo.
Allo sbarco, il Pontefice argentino – lui stesso nipote di emigranti italiani – è stato accolto da un gruppo di migranti sulla banchina. Li ha salutati e scambiato strette di mano prima di portare la papamobile al campo sportivo “Arena”, dove ha celebrato una messa penitenziale. Lì, davanti a un leggio adorno di timone e di un altare a forma di carena di nave, denunciò con forza l’«assottigliamento del cuore».
“Abbiamo perso il senso di responsabilità per i nostri fratelli e sorelle”, ha lamentato il 266esimo Papa, che ha gridato alla folla: “’Dov’è tuo fratello? Il suo sangue grida a me», dice il Signore. Questa non è una domanda rivolta ad altri; è una domanda rivolta a me, a te, a ognuno di noi!”
Il nuovo Pontefice ha attaccato la «cultura della comodità, che ci fa pensare solo a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri» e «porta alla globalizzazione dell’indifferenza». Questa globalizzazione dell’indifferenza “ci ha tolto la capacità di piangere”, lamenta il Successore di Pietro , desiderando “la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà del nostro mondo, dei nostri stessi cuori e di quanti in anonimato prendono decisioni sociali ed economiche che aprono la porta a situazioni tragiche come questa”.
Durante quella mattinata, come avrebbe fatto instancabilmente dopo, Papa Francesco ha implorato un risveglio delle coscienze , «perché questa tragedia non si ripeta».
Ha moltiplicato le sue iniziative a favore dei migranti, tra cui due visite nell’isola greca di Lesbo, da dove ha anche riportato sul suo aereo famiglie di emigranti .
Per il 10° anniversario della visita era stato programmato un viaggio del Papa nell’isola di Lampedusa, ha riferito una fonte diplomatica a I.MEDIA. Tuttavia, lo stato di salute e la fitta agenda del Pontefice lo avrebbero alla fine dissuaso.
Ripetizione di gravi tragedie
L’8 luglio il Vaticano ha diffuso una lettera inviata al vescovo locale in merito all’anniversario. Ecco il testo
Caro fratello
Arcivescovo Alessandro Damiano di Agrigento
In occasione della commemorazione del decimo anniversario della visita a Lampedusa , desidero inviare a voi, fedeli dell’arcidiocesi, alle autorità e ai presenti, il mio cordiale saluto. Vi sono vicino con affetto, preghiera e incoraggiamento.
Cari amici, in questi giorni in cui assistiamo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, rimaniamo sconvolti dalle stragi silenziose davanti alle quali rimaniamo ancora impotenti e attoniti. La morte di innocenti, soprattutto bambini, alla ricerca di un’esistenza più serena, lontana da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciare indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire gli altri.
Sono trascorsi dieci anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità di Lampedusa per esprimere il mio sostegno e la mia paterna vicinanza a quanti, dopo dolorose prove, in balia del mare, sono approdati sulle vostre coste. Il verificarsi di tali disastri disumani deve scuotere completamente le nostre coscienze; Dio ci chiede ancora: “Adamo, dove sei? Dov’è tuo fratello?” Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per proteggere i nostri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra Lui e noi? Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento; il fratello che bussa alla porta merita amore, ospitalità e ogni cura. È un fratello che, come me, è stato messo sulla terra per godere di ciò che esiste e per condividerlo in comunione.
In tale contesto, siamo tutti chiamati ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, nella solidarietà e nella condivisione. Occorre dunque che la Chiesa, per essere veramente profetica, si sforzi diligentemente di incamminarsi sulle strade dei dimenticati, uscendo da se stessa, lenendo con il balsamo della fraternità e della carità le piaghe sanguinanti di coloro che portano le stesse piaghe di Cristo impresse sul proprio corpo.
Vi esorto, quindi, a non restare imprigionati dalla paura e dalla logica di parte, ma ad essere cristiani capaci di ricolmare quest’isola, posta nel cuore del Mare Nostrum , della ricchezza spirituale del Vangelo, perché torni a risplendere nella sua originaria bellezza.
Mentre ringrazio ciascuno di voi, volto radioso e misericordioso del Padre, per il vostro impegno a favore dei migranti, affido al Signore della vita coloro che sono morti durante la traversata, e vi imparto volentieri la mia Benedizione, chiedendovi di pregare per Me.
Fonte: Aleteia