L’Eurostat ha ufficialmente certificato che l’Eurozona è in recessione “tecnica”. Che cos’è una recessione “tecnica”? È un’espressione convenzionale che si usa quando il PIL di una nazione o di un’area geografica diminuisce per almeno due trimestri consecutivi, evidenziando con ciò una battuta d’arresto dell’economia non episodica, magari dovuta ad eventi eccezionali o passeggeri, ma continuativa.
Con i nuovi dati negativi di Germania, Paesi Bassi, Irlanda, Grecia, Estonia, Lituania e Malta relativi ai primi tre mesi dell’anno, l’Eurostat ha dovuto abbassare il dato sulla variazione congiunturale del PIL dell’Eurozona del primo trimestre 2023 dalla precedente stima di +0,1% a -0,1% rispetto all’ultimo trimestre 2022. E poiché quest’ultimo trimestre a sua volta era già diminuito dello 0,1% rispetto al terzo trimestre 2022, ecco che l’area della moneta unica è entrata così in recessione “tecnica”.
Tra le venti economie dell’Eurozona, tre sono quelle ad oggi in recessione “tecnica”, con cali consecutivi del PIL verificatisi sia nel quarto trimestre 2022 sia nel primo trimestre 2023: la Germania (rispettivamente, -0,5% e -0,3%), l’Estonia (-1% e -0,6%) e la Lituania (-0,5% e -2,1%). Nel primo trimestre del 2023 sono state inoltre registrate variazioni congiunturali negative del PIL anche nei Paesi Bassi (-0,7%), in Irlanda (-4,6%), Grecia (-0,1%) e Malta (-0,5%). Mentre la stessa Francia, secondo Paese della moneta unica, non sta facendo faville, con una crescita piuttosto stentata.
Pesa più di tutti, sull’economia complessiva dell’Eurozona, il momento negativo della Germania, il cui modello industriale, troppo incentrato sull’auto, sul gas russo e sulle delocalizzazioni in Cina, è entrato in una fase di crisi strutturale. Ma colpiscono anche gli arretramenti di un’economia satellite di quella tedesca e basata sulle colossali movimentazioni del porto di Rotterdam come l’Olanda, nonché i forti cali di Irlanda, delle economie baltiche e la battuta d’arresto della Grecia.
Le stime negative dell’Eurozona fanno ancor più risaltare il buon momento dell’Italia, il cui PIL è cresciuto dello 0,6% nel primo trimestre di quest’anno, cioè di più di quelli americano (+0,3%), britannico (+0,1%), giapponese (+0,4%), francese (+0,2%), spagnolo (+0,5%) e, ovviamente, tedesco.
L’onda lunga della riscossa dell’economia italiana parte dalle riforme fatte negli ultimi cinque anni dello scorso decennio, dalla progressiva ricostituzione del potere d’acquisto delle famiglie e dal grande impulso del Piano Industria 4.0, la più importante politica industriale degli ultimi decenni, avviata dal governo Renzi. Ed è poi continuata dopo la pandemia con la sapiente guida governo Draghi, di cui il governo Meloni ha adottato saggiamente le misure contro l’inflazione.
Proprio la difesa del potere d’acquisto, unitamente alla crescita dell’occupazione, ha permesso all’Italia di registrare un forte incremento dei consumi privati perfino in un periodo di alti prezzi come quello dell’ultimo anno e mezzo. I consumi delle famiglie italiane, infatti, sono aumentati del +3,1% nel primo trimestre del 2023 rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, mentre contemporaneamente crollavano in Germania (-2%) e stagnavano in molti altri Paesi.
In definitiva, tra le grandi economie europee l’Italia è quella che meglio ha contrastato gli effetti negativi della pandemia e dell’inflazione. I dati parlano chiaro. Se prendiamo come riferimento il quarto trimestre 2019, precedente lo scoppio del Covid-19, il PIL italiano è oggi, alla fine del primo trimestre 2023, del 2,5% sopra i livelli precrisi. E l’Italia ha distanziato praticamente tutti. Infatti, la Francia è solo a +1.2%, la Spagna a -0,2%, la Germania e la Gran Bretagna entrambe addirittura sotto dello 0,5%.
Fonte : IlRiformista